Sulla Grecia e l’Italia

Scontri in Grecia 08

Avevo deciso di scrivere un post sulla notizia tragicomica che la polizia greca aveva finito le cartucce di fumogeno (ben 5 tonnellate negli ultimi giorni). Ma poi ho scoperto che avevo qualcosa da dire.

In realtà quello che è successo in Grecia non ha nulla a che vedere con il G8 di Genova. Ho sentito da più parti paragonare le due situazioni, ma si tratta chiaramente di una cosa stupida: la morte di un ragazzo può essere un punto in comune solo per gli stolti. E le differenze si trovano a mio parere sia dalla parte dei manifestanti che da quella dei tutori dell’ordine costituito. Scandagliarle queste diversità mi aiuterà a fare un punto della situazione in Italia.

Per quello che concerne i tutori dell’ordine è presto detto: a Genova, quello che mi sembra sia emerso in maniera evidente è stata la soppressione, decisa a tavolino dai vertici politici, dei diritti costituzional; alle forze dell’ordine si è detto: agite in questo modo, noi vi copriremo, cosa che è invariabilmente accaduta. Detto questo bisogna anche aggiungere che in Italia il braccio armato della legge – per quanto fastidioso, pesante, gretto, arretrato, fascista (vd. i fatti di piazza Navona di quest’anno!), cresciuto a risse con gli Ultras del calcio e dunque abituato a manganellare prima di capire cosa stia succedendo – evita di sparare a dei semplici cittadini, siano essi punk, anarchici o quant’altro. Il caso di Spaccarotella (fatto comunque gravissimo!) che decide di sparare ad altezza uomo (dall’altro lato dell’autostrada!!) per sedare una rissa tra tifosi mi pare abbia più a che fare con l’abissale idiozia di un cretino che con il modo di fare abituale della polizia o dei carabinieri; certo, però, fa riflettere sul fatto che bisognerebbe stare molto attenti a dare armi a gente stupida.
Ad Atene le cose sono andate diversamente: il quartiere in questione è spesso teatro di episodi di criminalità non comune, di scontri "politici" tra polizia ed autonomi, e molti dicono che "il morto" era una cosa da aspettarsi, prima o poi. In questo specifico caso i simpatici tutori dell’ordine (mai nome fu più ironico!) – stando a molti testimoni – hanno agito consapevolmente, scendendo dall’auto con le pistole in mano e apostrofando quelli che erano – è bene ricordarlo – un gruppo di giovani studenti: evidentemente sono soliti comportarsi in questo modo. Come da copione al danno segue non la beffa, ma l’insabbiamento: il proiettile – contro ogni testimone – ha colpito il ragazzo di rimbalzo – dicono la perizia balistica e l’autopsia. Al momento comunque il poliziotto è indagato per omicidio volontario …

Dal lato dei manifestanti le cose stanno così, a mio avviso: a Genova – sia che ci si fosse andati preparati, sia che ci si fosse trovati nell’occasione adatta per fare esplodere la rabbia covata – si manifestava contro i potenti del mondo per fare loro vedere che una grossa fetta dei loro cittadini non li approvava nelle loro scelte. Se vogliamo, si è trattato di una vetrina per chiunque volesse esibire il proprio sdegno, il proprio disappunto e roba simile. Diciamo che è stato un fatto pubblico, come lo sono tutte le manifestazioni (qui nel senso di portare alla vista di tutti qualcosa che si vuole mostrare).
Ciò che è accaduto in Grecia non è pubblico; è comune, certo, è collettivo, naturalmente, ma non pubblico: nessuna manifestazione, nessuna bandiera, ma un nome preciso: si chiama ribellione … spontanea, immediata, feroce e violenta tanto quanto può esserlo la vita che viviamo tutti i giorni in Grecia come in Italia. E non si tratta di qualche scalmanato – come è stato detto in tv – o di un’«avanguardia rivoluzionaria» – come piacerebbe ai leninisti – no, no … qui si tratta di un intero paese, della così tanto citata società civile che non ce la fa più. E ognuno ci mette del proprio secondo i propri mezzi: gli anarchici con le molotov e studenti assieme a genitori con le manifestazioni pacifiche. Sul Corriere – che noi uomini di classe leggiamo – di martedì scorso c’era una bella intervista a Vassilis Vassilikos, un noto scrittore e giornalista greco, che si esprime senza mezzi termini sulla situazione del suo paese:

È stato un assassinio, Vassilis? Il poliziotto ha sparato per uccidere?
«Sì, Antonio. È stato un assassinio».
Ne è sicuro?
«Non solo. Annoti bene: assassinio a sangue freddo. Per questa ragione Alexis Grigoropoulos, neppure 16 anni, un bel ragazzo ribelle, è diventato un eroe. Non so cosa accadrà nel mio paese.

[…]

Insomma l’assassinio di Alexis è stato il detonatore di una frustrazione, di una rabbia compressa che tutti avvertivamo ma che non eravamo in grado di esprimere».


È davvero raro oggigiorno trovare dei personaggi così onesti e così chiari – e che abbiano anche accesso ai media. Quantomeno in Italia.

Già l’Italia: dopo avere chiarito, anche a me stesso, le differenze tra Genova e i fatti greci, una domanda mi frulla per la testa, collegata alle riflessioni inziali: perché in Italia non ci sono scontri, tafferugli se non quelli legati ai tifosi di calcio? Attenzione, lo dico adesso e non lo ripeto: non voglio sembrare un nostalgico dello scontro violento (giacché non lo sono affatto, e chi mi conosce sa che non ha mai fatto per me), ma lo chiedo solo per un motivo che è connesso a un "giudizio di qualità" sul movimento antagonista italiano.
Io credo che la polizia si comporti relativamente bene col movimento italiano perché in realtà un movimento non c’è. Meglio: il movimento c’è, ma non è pericoloso, non viene riconosciuto come una minaccia e dunque non viene contrastato. E sul fatto che non sia pericoloso siamo d’accordo io assieme a tutti i prefetti d’Italia.
Sì perché secondo me c’è un grado di evoluzione nel rapporto tra ordine costituito e antagonismo: il movimento diventa violento quando – riconosciuto come pericoloso dall’ordine – viene contrastato; su quella strada gli incidenti e l’escalation di contrasto sono inevitabili.
È chiaro che non si tratta di un modello unico e univoco, ma piuttosto di una probabilità, tra le molteplici possibili.
Però la presenza o meno di scontro violento politicizzato rappresenta senza dubbio una spia, come le lucciole o le api lo sono della qualità dell’ambiente.

Badiamo bene che ho utilizzato la parola movimento e questo perché non penso a gruppetti organizzati; mi spiego meglio: non stiamo parlando di avanguardie rivoluzionare qui, non si tratta di (vecchie o nuove) Brigate Rosse o cose consimili. Ciò a cui mi riferisco quando dico movimento antagonista – e che ho visto attivo in modo naturalmente potente nei fatti greci – è una realtà non strutturata, non organizzata – se non in senso federale e su grande scala – che naturalmente tende verso uno stile di vita differente, che cerca un nuovo patto sociale, che sa benissimo che il mondo non può essere cambiato (un altro mondo non è possibile) ma che si comporta come se potesse esserlo. Questo per essere brevi, ma chiari.

Ecco questo in Italia non si vede, non appare; e non lo fa perché non c’è.

Scontri in Grecia 08

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Una risposta a Sulla Grecia e l’Italia

  1. Onigiri scrive:

    Oh, mamma mia.
    Qualcuno finalmente lo dice, e che scandalo.
    Questo che si definisce movimento antagonista non è più una minaccia all’ordine costituito!
    Comincia, invece, a fare paura Casa Pound e i suoi affini..?
    Ci dobbiamo preoccupare?
    Forse si, per un verso. Forse no, per l’altro.
    Perchè se qualcosa che si muove verso direzioni diverse in maniera perfettamente integrata, non viene considerata eversiva e minaccia all’ordine pubblico, a me sta anche bene.
    Se i mille rivoli (piccoli e poco significativi per le grandi masse, ok,..ok!) che scorrono in Italia per strade diverse da quelle della cultura-economia totalitaria, non sono viste come una minaccia a questo ordine globale. Forse a me sta anche bene.
    Così, chi nel quotidiano già fatica a reggere uno stile di vita differente almeno non si deve preoccupare di repressione e denunce.
    Se non fosse che poi sit-in e manifestazioni, quando conviene al prefetto, anche autorizzati, vengono considerati una minaccia all’ordine pubblico e colpiscono dei singoli nelle proprie libertà individuali. Questo non mi piace più tanto.
    Tuttavia, il mondo è bello perchè è vario e tra questo sud e il mondo da roma in su c’è una bella differenza di approccio al “movimento” e alle sue proposte.
    Forse ci tocca un periodo di riflessione intima?
    E’ quindi il momento di rifondar-ci del tutto?
    Nuove “parole d’ordine”, come dice qualcuno, o nuovi criteri di partecipazione alla “alternativa” sociale-culturale-economica?
    Non lo so al momento.
    Quindi, staremo e vedremo.
    – fino alla prossima –

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